
Un colpo alla testa, in un boschetto vicino a Sulmona, dove era arrivato con la Smart della figlia. Così si è tolto la vita l’ex generale dei carabinieri forestali Guido Conti.
A pesare sulla sua coscienza sono probabilmente state quelle ventinove persone che hanno perso la vita nella tragedia avvenuta lo scorso gennaio nel resort Rigopiano, travolto da una valanga.
A casa lo aspettavano come ogni sera, fino a quando, verso le 22, è avvenuto il ritrovamento del cadavere. Nella macchina Guido ha lasciato due biglietti. Uno dei quali è forse una sorta di testamento morale. Lo strazio di un uomo delle istituzioni che non riesce a darsi pace per quanto accaduto in quella terribile tragedia.
Probabilmente questa vicenda era diventata per lui un tormento insostenibile. Forse troppo grande era il timore di essere invischiato in un’inchiesta non ancora finita.
Sulla divisa del generale vi erano tante medaglie. Questo aveva fatto sì che a cinquantotto anni, ormai in pensione, aveva assunto l’incarico di alto dirigente alla Total con tanto di entusiasta annuncio sui social. Poi tutto ad un tratto le dimissioni, il ritirarsi ad una vita solitaria.
E poi le parole di quei messaggi dalle quali trapela tutto il suo tormento. “Da quando è accaduta la tragedia di Rigopiano la mia vita è cambiata. Quelle vittime mi pesano come un macigno. Perché tra i tanti atti ci sono anche prescrizioni a mia firma. Non per l’albergo, di cui non so nulla, ma per l’edificazione del centro benessere, dove solo poi appresi non esserci state vittime. Ma ciò non leniva il mio dolore”. E ancora prosegue: “Pur sapendo che il mio scritto era ininfluente ai fini della pratica autorizzativa, mi sono sempre posto la domanda: potevo fare di più? Potevo scavare e prestare attenzione nelle indagini? Probabilmente no, avrei potuto forse creare problemi, fastidi. Pur non conoscendo neppure un rischio valanghe, vivo con il cruccio”. E il generale non si è mai perdonato. Anche lui, a suo giudizio, meritava di raggiungere le anime di Rigopiano.
BC
