A partire dal marzo 2020 si sono incrementate, sempre di più, le ore di smart working nel nostro Paese. Ma ecco cosa potrebbe cambiare
L’Italia più di tutti i Paesi lo ha conosciuto, come forma di lavoro, in questi due anni di pandemia da Covid-19. Altrove è qualcosa di più consolidato, ma nel nostro Paese era qualcosa di sconosciuto. Parliamo dello smart working. Ma, attenzione, perché le cose potrebbero cambiare rapidamente.

La pandemia da Coronavirus, i contagi che crescono, il distanziamento sociale necessario. Ma, allo stesso tempo, la necessità di non fermare settori vitali e aziende che avrebbero subito danni ancor più gravi rispetto a quelli patiti in questi due anni. Queste le motivazioni che hanno portato, a partire dal marzo 2020 a incrementare, sempre di più, le ore di smart working nel nostro Paese.
La traduzione è “lavoro agile”. Oppure “telelavoro”. L’ordinamento italiano lo definisce così: “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Lo smart working, in questi due anni, quindi, è stato uno strumento fondamentale per non fermare definitivamente il Paese. Tanto nella sua Pubblica Amministrazione, quanto nelle imprese. Ma, con la pandemia che potrebbe essere ormai quasi alle spalle (ce lo auguriamo!), iniziano a essere tanti i detrattori dello smart working. Su tutti, solo per fare un nome nel nostro Paese, il ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta. Ma non è l’unico. C’è qualcuno di ancor più potente, a livello globale, che ha dichiarato guerra allo smart working.
Guerra allo smart working
La guerra allo smart working, infatti, è stata dichiarata da uno degli uomini più ricchi e potenti del pianeta. E questo, ovviamente, al di là di ciò che accadrà nelle sue aziende, potrà portare anche a ripercussioni a livello globale. Proprio per la sua influenza.
L’ultimatum di Elon Musk ai manager di Tesla: tornate in ufficio o lasciate. Il “lavoro da remoto non è più accettabile. Chi vuole lavorare da remoto deve essere in ufficio almeno 40 ore alla settimana o lasciare Tesla. E’ meno di quanto chiediamo ai dipendenti degli stabilimenti”, afferma Musk in una email riportata da Bloomberg. Musk quindi precisa: l’ufficio deve essere un ufficio Tesla non una filiale non collegata ai propri compiti di lavoro.
Ovviamente non mancano le polemiche. Perché nella mail, Musk ha intimato a coloro che non sono contenti a fare le valigie e “fingere di lavorare da un’altra parte”. Il suo messaggio è diventato virale su Internet, e anche su Twitter sono circolate alcune schermate del suo messaggio. E inevitabilmente, è scattata la polemica. Staremo a vedere cosa accadrà.