In Arkansas è passata una legge che costringe le donne ad avere l’autorizzazione del partner per procedere con l’aborto. E fino a qui per molti potrebbe anche essere una scelta corretta verso gli uomini (nonostante sia comunque un durissimo colpo al diritto di accesso all’aborto per le donne). Ad aggravare la situazione però, questa legge prevede che una donna vittima di violenza sessuale, e rimasta incinta, abbia bisogno del permesso del suo stupratore per poter abortire. Le vittime dovrebbero quindi rintracciare l’aggressore e chiedere il suo parere: in caso non sia d’accordo, il violentatore ha la facoltà di bloccare la procedura di interruzione di gravidanza. E sfortunatamente, al contrario di quello che venga da pensare (o sperare), non si tratta di una legge vecchia di cent’anni, ma di un nuovo regolamento. In Arkansas, le leggi sono particolarmente restrittive per quanto riguarda l’aborto, e questa legge firmata a marzo, entrerà in vigore alla fine del mese. In uno Stato di 3 milioni di abitanti esistono solo quattro cliniche che praticano la procedura d’aborto – procedura per cui le donne sono costrette ad attendere per giorni per ottenere tutte le autorizzazioni necessarie.
Gli attivisti: legge sull’aborto incostituzionale
L’American Civil Liberties Union (ACLU), che ha annunciato di voler combattere per non permettere che la legge entri in vigore, ha scritto sul suo blog: “Ogni giorno, le donne in Arkansas e negli Stati Uniti lottano per ottenere le cure di cui hanno bisogno, perché i legislatori impongono sempre nuovi modi per chiudere le cliniche e rendere impossibile l’aborto”. Talcott Camp, vicedirettore dell’ACLU’s Reproductive Freedom Project, che vuole proteggere la libertà di scelta delle donne, ha spiegato: “La legge impone che un medico non possa eseguire un aborto senza fare uno “sforzo ragionevole” per contattare il “padre” del feto. Ed è una violazione fondamentale della privacy: prima di tutto, una donna potrebbe non volere che quella persona conosca le sue questioni più intime”. ACLU e il Centre for Reproductive Rights hanno depositato una causa federale affermando che le restrizioni sull’aborto del nuovo regolamento sono incostituzionali e troppo gravose per le donne che vogliono abortire. Le due organizzazioni stanno cercando di bloccare la legge prima che entri in vigore e la prima udienza è stata il 13 luglio. Se per molti l’aborto è un sacrilegio, per altri è “un diritto fondamentale delle donne che permette loro di decidere cosa fare del loro corpo e della vita che cresce nel loro utero, un libero arbitrio che ha salvato milioni di mancate madri dalle complicanze e dalle morti degli aborti clandestini”, come spiega Melania Rizzoli, medico ed ex parlamentare.
Lavinia C.
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